Nono Sovrintendente
Direttore del Dipartimento Esoterico e Taumaturgico
Nome: Francesco Valtieri
Data di nascita: 22/06/1980
Livello di autorizzazione: 5-IT
Lingue: Italiano (madrelingua), Inglese (avanzato), Greco (intermedio), Latino (intermedio).
Focus di ricerca/combattimento: Ricerca
Carriera:
- 2004 - Viene reclutato come ricercatore presso il Sito Deus.
- 2005 - Si trasferisce nella Dipartimento Esoterico e Taumaturgico, dove si specializza nello studio degli artefatti in possesso della Branca.
- 2009 - Diventa ricercatore capo della SSET.
- 2014 - Si propone come vice-direttore del Dipartimento. A seguito dell'Operazione [REDATTO], egli assume tale ruolo come direttore de-facto.
- 2017 - Dall'aprile del 2017 egli viene ufficialmente insediato come Nono Sovrintendente , divenendo allo stesso tempo Direttore del Dipartimento Esoterico e Taumaturgico. Inoltre, [REDATTO].
Biografia e personalità: Nasce da una famiglia di origini modeste in Emilia Romagna, primo di tre figli. A causa della morte prematura di entrambi i suoi genitori, egli inizia a lavorare fin dai 18 anni e, dopo aver ottenuto l'accesso ad una borsa di studio, insegue il proprio sogno di diventare professore universitario. Scopre di essere sensibile alla taumaturgia dopo essere entrato in contatto con [REDATTO].
Il reclutamento tra i ranghi della Fondazione interrompe la sua nascente carriera ma gli offre fin da subito una retribuzione stabile che utilizza per sostenere i propri familiari, oltre che un modo per accrescere le proprie capacità.
Dopo il trasferimento nel DET ottiene il permesso di utilizzare la taumaturgia e guadagna l'assegnazione ad Elementi SCP e incarichi sempre più importanti, che culminano nella promozione a ricercatore capo della propria sezione.
A causa della rimozione del precedente Nono Sovrintendente, egli è promosso anticipatamente a facente-funzioni al suo posto, incarico che, seppur dai poteri limitati, lo mette a dura prova contro l'estremo bisogno di riorganizzazione del Dipartimento. Dopo due anni di blocco e con l'approvazione dei rimanenti membri del Consiglio S5, egli diviene il nuovo Nono Sovrintendente della Branca Italiana, assumendo pieni poteri nel Dipartimento Esoterico e Taumaturgico.
Personalità: Nono si presenta come un soggetto molto ironico e socievole a prima vista, mantenendo tuttavia un velo di professionalità e di distacco verso tutti coloro che non lo conoscono appieno. Egli difatti è estremamente autocritico nei propri confronti e si ritiene spesso responsabile per ogni errore commesso dalla sua Sezione. Nel 2012 conosce l'allora comandante della SSM-I, Laura Mileni, entrando in una relazione e, dopo due anni, unendosi a lei in matrimonio.
La sua morte durante l'Operazione [REDATTO] è una catastrofe per Nono, che da allora cade in una profonda depressione, dal quale non si è ancora ripreso dopo anni di terapia. Gli unici membri della Fondazione che possono dire di conoscere quel che davvero passa durante le proprie notti insonni sono i Vice-Direttore Luca Morelli1 e Chiara Rodio2.
A causa del rimorso per ciò che è diventato, egli è poco attivo quando si tratta di eventi/discussioni/campi che non ritiene più interessanti come in passato: le uniche sue spinte significative, verso le quali dedica anche il suo tempo libero, sono la taumaturgia, la storia e la filosofia. Per questa ragione egli tende a non spostarsi molto dal Sito Deus, nemmeno per le riunioni della Sovrintendenza, causando astio tra lui e colleghi più assidui - in particolare Primo e Settimo. Sul lavoro egli è freddo e autoritario, ma anche comprensivo nei confronti dei suoi sottoposti, specie quando deve gestire lavori di squadra con ricercatori che non conosce personalmente.
Nel tempo libero egli adora leggere, allenare le proprie capacità magiche o viziarsi con dell'ottimo cibo. Rimane, nonostante tutto, una figura rispettata all'interno dell'intero Sito Deus.
Caratteristiche e particolarità:
- Si è laureato in scienze storiche con un punteggio di 110 nel 2003, ma non possiede abilitazione all'insegnamento.
- Oltre al suo staff personale ha un rapporto di amicizia/odio con Valeria Cattaneo, che rispetta per le sue capacità militari; inoltre, mantiene i contatti con i capitani e i membri delle varie SSM che ha conosciuto durante la sua relazione con Mileni.
- È ritenuto il maggior esperto di taumaturgia nella Fondazione Italiana.
Citazioni:
- "Torno subito."3
- "La differenza tra la cieca fede e la vera magia è una sola: la forza delle proprie convinzioni."4
- "Primo, ci sarà un motivo se non vengo mai alle riunioni. E quel motivo è in larga parte costituito da Quinto e Settimo che litigano come se dovessero dividersi la merenda."5
Documenti:
- SCP-118-IT — L'Antico Signore delle Tempeste
- SCP-090-IT — Cartonato di una Mucca
- SCP-035-IT — Il Martello
- SCP-008-IT — Nel nome del mio dio
Cita questa pagina come:
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SCP e racconti attualmente in lavorazione
- "Boss Finale"
- "Il Tridente"
- "Roteki"
- "Effetto Farfalla"
- "PIC-112"
- "Il Grande Occhio del Mediterraneo"
- “Racconto: Il corvo”
Elemento #: SCP-XXX-IT
Classe dell'Oggetto: Euclid
Procedure Speciali di Contenimento: SCP-XXX-IT-1 deve essere contenuto in una cella di contenimento per oggetti anomali standard, distante non meno di 500 metri da ogni dispositivo elettronico o a batteria, segnale telefonico o rete internet, nel Sito Vulcano. Tutti i test che coinvolgono SCP-XXX-IT sono sospesi finché non verranno accertate le capacità di trasmissione dati dell'anomalia e/o non verrà trovata una soluzione di contenimento più efficace.
Descrizione: SCP-XXX-IT è un'entità senziente facente parte del popolare videogioco MOBA "League of Legends" e che, nonostante abbia assunto svariate forme nel corso delle interazioni con il personale di ricerca, essa si riferisce a sé stessa come "il gioco" e non come un singolo personaggio. Al momento della scrittura, SCP-XXX-IT ha completamente compromesso il portatile dove era installato il gioco, che è di conseguenza stato designato SCP-XXX-IT-1.
L'anomalia è in grado di avviare programmi, modificare le impostazioni, spegnere ed accendere il dispositivo a piacimento ed è anche capace di generare energia elettrica in maniera costante.
SCP-XXX-IT è estremamente ostile contro qualsiasi forma di vita e possiede l'innata capacità di "infettare" tutti i dispositivi elettronici entro un raggio di 500 metri e "copiarsi" su di essi, spesso rendendoli inutilizzabili o assumendo pieno controllo delle loro funzionalità (vedasi Incidente-XXX-IT-A).
Addendum: (Paragrafo aggiuntivo opzionale)
Fenicia, 1200 a.C.
I pochi difensori rimasti sani di mente iniziano a fuggire appena vedono che, contro la spessa corazza corallina del mostro che hanno di fronte, le loro frecce e le lance sono completamente inutili. Uno di loro tenta ancora di suonare il proprio corno, forse nella vana speranza che vi sia ancora qualcuno in città in grado di aiutarli. Non è così e ben presto Ptkoi pone fine alle loro vite con un violento colpo nell’aria di fronte a sé. La forte brezza marina sembra quasi esplodere a mezz’aria, scatenando un contraccolpo che scaglia via i quattro soldati, frantumando facilmente le loro ossa contro la pietra. Due su tre muoiono immediatamente.
"Deboli." pensa l'essere corazzato, mentre sbuffa con disapprovazione.
Uno di loro si muove ancora, ma morirà presto, poiché copioso scorre il sangue nelle sue carni e all'esterno attraverso braccia e gambe spezzate come rametti. L’uomo-corallo si avvicina a passi lenti e poi afferra il cranio di quello che vorrebbe poter distinguere meglio da un semplice umano: uomo forse; ha, tuttavia, dei lineamenti delicati e degli occhi che lo fissano comunicando tutto il dolore possibile, una sensazione che pochi nel Culto potevano riferire di condividere. Umanità.
Sfortunatamente per questo umano, egli ha davanti una creatura incapace di capirlo. Importa poco.
Ptkoi usa l’altra mano, quella con il Dono della Regina, il suo arto tentacolato, per strappare gli occhi della sua vittima e poi schiaccia violentemente il cranio contro le macerie, facendo ben attenzione a recuperare quanto più sangue possibile nelle proprie fenditure.
Il corallo che compone l’essere è quasi cristallino, duro più della roccia e al tempo stesso poroso, in grado di assorbire liquidi. Non a caso è dall’inizio della battaglia che egli ha smesso di essere verde acqua, attingendo invece dalle abbondanti pozze di sangue lasciate dalle forze del Culto durante l'assalto. Dovrà sicuramente consegnare il prezioso carico nelle profondità più avanti, ma per ora si rilassa mentre continua a compiere la propria missione, traendo soddisfazione nel ricordare distintamente le memorie delle proprie uccisioni prima che esse svaniscano nell'oblio.
Dopo averli osservati per un po’, Ptkoi decide di conservare anche gli occhi che ha appena sottratto all’umano (o umana? Per lui il dubbio rimaneva; non riusciva proprio a conservare memoria della differenza), nella speranza di poterli dare al proprio Simulacro una volta raggiunto il porto. Anche se non ricordava il perché, alla creatura piaceva nutrirsi specialmente di occhi, orecchie e lingue umane e diventavano molto più docili e ubbidienti per lunghi periodi dopo averne mangiato a sufficenza.
Mentre cammina con calma, calpestando con forza la sabbia e la ruvida roccia sotto i propri piedi, l'uomo-corallo fa mente locale sulla missione. Anche se si riteneva prescelto, Ptkoi conosceva i propri limiti: la sua memoria era orribilmente lontana da quella che poteva vantare quando era ancora completamente umano… sempre se era mai stato davvero umano; dannazione, anche questo dettaglio ora gli sfuggiva. Ad ogni modo, egli riusciva a malapena a ricordare gli avvenimenti dello stesso giorno, figuriamoci quelli precedenti. Su suggerimento di Ezra, egli aveva iniziato a conservare tutto il sangue che poteva durante i giorni in cui succedeva qualcosa di particolarmente importante; anche se servivano numerosi litri per ricostruire nel dettaglio le scene del passato nella propria mente, Ptkoi aveva scoperto che alle volte bastava una sola goccia per conservare dei semplici concetti, nomi o immagini. Ecco perché una parte di lui ora si preoccupava: non solo si era dimenticato di conservare del sangue quando aveva ricevuto ordine di attaccare e quindi ora non ricordava più la sua missione nel dettaglio, ma aveva, allo stesso tempo, anche trovato diversi degni avversari dopo aver sfondato le mura; e se i cerimonieri avessero preteso troppo sangue, una volta tornato a Thalassischira? Non voleva perdere la memoria di quei validi combattenti. Se solo fossero stati anche abbastanza intelligenti da convertirsi alla vera fede.
Dannata memoria. Forse quella notte avrebbe richiesto udienza con la Divinità per ottenere altro potere e forse altri ricordi.
Ovviamente a Ptkoi non piaceva insultare la propria forma, anzi, l’apprezzava moltissimo il più delle volte: l'impedimento alla memoria era compensato dalle proprie abilità fisiche sovrumane, che lo rendevano il Cercatore più forte dell’intero Culto. Il suo corpo era incastonato in una spessa corazza corallina che lo forniva anche di una stabilità eccellente; egli ricordava chiaramente come, quasi vent’anni prima, era riuscito a bloccare con una sola mano un intero muro che rischiava di collassare su di sé. Era stato allora, almeno così gli pareva di rimembrare, che aveva per la prima volta incontrato Yina. Quel loro primo scambio di parole era durato pochi secondi ed ora si erano persi nel tempo, ma da allora la Divinità lo convocava sempre più spesso, tanta gente all’interno del Culto lo rispettava di più e gli era persino stato assegnata una squadra di fedelissimi, assieme al suo personale Simulacro. Chissà, forse aveva fatto colpo. A Ptkoi importava poco in realtà, l’importante era continuare a servire. Forse, un giorno, egli avrebbe riottenuto la sua memoria perduta; preferibilmente, facendo scorrere tanto sangue.
Un forte grido umano lo risveglia dai propri pensieri e lo mette al corrente di come, senza prestare attenzione alcuna a ciò che lo circondava, ha già raggiunto i cancelli principali della città. Solo ora nota come due adepti stiano mutilando alcuni soldati umani che hanno pensato, ingenuamente, che arrendendosi sarebbero stati risparmiati. Sulla destra invece, un folto gruppo di umani e bambini giace a terra, in attesa del loro destino. Uno di questi umani (una donna, forse?) stringe un neonato in braccio e lo fissa. Che coincidenza, proprio quello che gli serviva. D’altronde, il sangue spesso non bastava per i rituali e i vivi erano sempre accettati dalla Divinità ben più volentieri dei morti.
Ptkoi si gira.
L’adepto che sta tenendo a bada l'umano si scansa immediatamente, senza nemmeno osservarlo. Lei invece lo fissa, terrorizzata, stringendo di più il pargolo a sé. Pronuncia alcune parole che per Ptkoi suonano come vaghe onde di mare in lontananza. Sul suo volto scendono lacrime.
È passato più di un anno dall’ultima volta che Ptkoi ha aperto bocca.
In effetti, a ripensarci, forse avrebbe dovuto conservare anche del sangue riguardo le lezioni di Yina, l’unica che si era presa la briga di istruirlo, affermando come il rango dei Cercatori richiedesse “le migliori menti al servizio della Divinità”. Evidentemente, Ptkoi era l’eccezione. Anche perché, dopo quasi vent’anni di servizio col suo nuovo “ruolo”, non aveva ancora capito cosa stavano cercando questi “Cercatori”. Poco importa: aveva visto molte più battaglie da allora e a lui andava bene così.
Quando smette di riscavare per l’ennesima volta nel passato, apre bocca ed emette un vago grugnito.
“Tu. Avanti. Consegna.” pronuncia con non poca fatica il mostro, porgendo in avanti il braccio col Dono della Regina.
La donna non risponde e si limita a continuare a gridare nella sua lingua incomprensibile. Forse, in retrospettiva, usare il Calypto non servirà a molto con lei.
Ptkoi si trova nuovamente a odiare chi ha davanti. Se solo potessero capire i vantaggi della vera Fede; per un secondo, egli pensa a quanto forte sarebbe stata la resistenza della città se anche solo una decina di loro avessero avuto accesso ai poteri della Divinità.
Decide di lasciar perdere e, senza muoversi, chiama a sé l’adepto che si era scansato prima con grugnito. L’umanoide dalla pelle squamosa si fa avanti e ubbidisce al volere del Cercatore senza che quest’ultimo apra nuovamente bocca: afferra violentemente l'umana e la porta via con l’ausilio di un secondo cultista. Diverrà un ottimo ricettacolo per rimpiazzare le perdite della giornata e il piccolo invece un valido dono per il Grande Occhio.
Ora che ha la mente sgombra, Ptkoi può concentrarsi sugli adepti che lo circondano; bastano pochi secondi ed ecco che tutte le informazioni di cui ha bisogno si fanno strada dentro di lui. Sa con certezza chi dei suoi fratelli è morto, chi è ferito e chi invece è già tornato nelle profondità per curarsi o è ancora illeso. I suoi pensieri si mescolano rapidamente con quelli dei suoi soldati e riesce persino a ricordarsi della sua missione, la medesima avvenuta un anno prima. Si trattava di un addestramento, come tanti altri. Forse volevano anche essere testate le capacità dei Cercatori e, di conseguenza, delle armate a disposizione del Culto. L’apice delle truppe della Divinità che guidava le sue armate alla conquista, il "Tridente": finalmente l'uomo-corallo ricordava come erano definiti lui, Yina ed Ezra. Distruggere una singola città era diverso dal distruggere una nazione, ma era un buon banco di prova della loro potenza. Singole città, sparpagliate per il mare, distrutte nell’arco di pochi giorni, spesso anche prima. Con questa potenza forse, tutti gli umani che vivevano sulla costa sarebbero stati annientati in una singola stagione.
Ptkoi si avvia verso la costa ma, prima di immergersi completamente in acqua, si volta ad osservare ancora la città, in procinto di essere completamente distrutta da alcuni Simulacri dalle forme esapodi. Orde di Adepti lo seguono, molti senza nemmeno preoccuparsi qualora colpiscano un ostacolo e quasi ipnotizzati dalla sua presenza. Ptkoi sbuffa.
In maniera alquanto ipocrita, egli parlava spesso della fede. Ma la realtà era che non ci capiva molto; forse, semplicemente, solo quelli come lui erano davvero credenti, abbastanza forti da accettare la realtà del Grande Occhio e ottenere una nuova forza; ecco spiegato perché tante tra le creature che incontrava erano invece irrimediabilmente deboli. Un giorno, forse non molto lontano, avrebbe avuto la fortuna di vivere in un mondo abitato solo da persone come lui. Egli era forte e la sua fede era forte in lui.
Ptkoi si è distratto ancora e il suo corpo ha continuato a camminare. Ora è sulla spiaggia, davanti al mare.
Egli si immerge, la sua mente di nuovo tutt’una col Mediterraneo.
Da qualche parte nel Mar Mediterraneo, 1200 a.C.
Nonostante odiasse gli incantesimi, l’umanoide mascherato era stato costretto a recidersi il polso per praticare un rapido rituale e individuare i suoi bersagli.
Nell’oscurità dei fondali oceanici, il sangue era l’unico mezzo che aveva per trovare chi e cosa uccidere senza perdere tempo.
Una delle prime lezioni che insegnavano ai nuovi membri del Culto: imparare a sacrificare sé stessi sopra ogni cosa; la vita è insignificante, sopratutto quando si possiede un compito assegnato dalla Divinità.
Il compito dell'essere è uccidere.
Ezra si fa avanti, calandosi rapidamente dalla scogliera. I suoi occhi brillano di azzurro, ma le sue vittime non sono abbastanza intelligenti né sveglie da notarlo. Quando atterra, sente le prime urla mentre una grosse nube di sabbia si solleva attorno al piccolo campo.
"Sono qui! Scappate!" urlano varie voci, usando un dialetto del Calypto, forse nella speranza di non essere riconosciuti come traditori. Ezra tira a sé la propria catena, quella alla quale è legato il suo fido pugnale; qualche secondo dopo l'arma si sdoppia, poi si triplica ed infine si separa in una dozzina di lame identiche, che scattano all'unisono, in cerca di prede da ammazzare. Ecco che, senza alcuno sforzo e nel mezzo dell'oscurità, il Cercatore inizia ad uccidere senza pietà, scattando addosso a bersagli ignari con la velocità di un predatore degli abissi. Uno dei pugnali rimane incastrato nelle carni della sua vittima e quando l'essere fa per strapparlo può chiaramente sentire uno degli urli più strazianti di sempre, accompagnato da tanto sangue. La lama seghettata, anche se a tratti appariva acquosa, era sempre affilata ed in grado di squartare con facilità ogni nemico.
Gli occhi di Ezra cambiano colore, poiché ora sta perdendo il controllo; può chiaramente sentire i cuori spaventati delle sue prede battere all'impazzata. Alcuni di loro tentano di proteggere qualcosa, forse il loro capo o qualche ferito. È in questo momento che Ezra si lascia andare.
La maschera sul suo volto, che è ormai fusa con la sua pelle, si apre violentemente, inaugurando una delle sue ennesime trasformazioni; il suo collo si allunga, il volto si deforma e la sua bocca si allarga, lasciando spazio a tre file di fauci. Sente ancora delle grida spaventate, incapaci di accettare ciò di cui è capace chi possiede il vero potere. I suoi tatuaggi si illuminano di un verde brillante, mentre il potere lo rende più forte, più veloce e più reattivo che mai. Ezra ora ha sei arti superiori e quattro inferiori, oltre che artigli affilati come lame. Non ha occhi, perché non ne ha bisogno. Nell'oscurità degli abissi, egli è ora capace di percepire la paura.
"S-Sei un mostr-!"
Ma è troppo tardi perché possano comprendere. Ezra azzanna violentemente l'uomo che gli ha rivolto la parola, recidendo in un sol colpo la gola e voltandosi con agilità: i suoi pugnali si separano dalle catene che li tenevano fermi, mentre anche il resto del suo corpo continua a mutare, mutando in una forma più acquatica e donandogli ancora più velocità. Quando effettua il prossimo balzo, il solo muoversi dietro due vittime fa sì che esse finiscano squartate, incapaci di reagire e di capire come siano state uccise.
Uno dei traditori del Culto si fa avanti, inginocchiandosi e supplicando pietà. Chiede perdono, dice che tornerà a servire come un tempo. Ma l'occasione l'aveva già avuta.
Ezra, o quel che rimane di lui, urla, scatenando un'imponente onda d'urto che si diffonde sul fondale. Le fioche luci che fino a poco prima avevano rappresentato la speranza dei traditori si spengono una dopo l'altra, in rapida successione; spetta loro la punizione peggiore, la morte fatidica, che priva i vivi di ogni loro certezza e che semina il dubbio su chi di loro sarà il prossimo, nei pochi secondi di distanza tra un grido e l'altro. Se avessero un minimo di intelligenza, molti di loro eviterebbero di sprecare il fiato urlando. Ma oltre ad essere traditori, sono anche stupidi e gridando permettono ad Ezra di individuare più facilmente le loro gole.
Dopo pochi minuti, l'intero fondale è silenzioso. Ezra finisce di assaporare le carni delle sue vittime e poi, tossendo violentemente e accasciandosi un attimo al suolo, inizia a riprendere la sua forma più umana, quella donatagli dalla Divinità. Il suo potere aveva fatto sì che Ezra cessasse di essere una banale creatura, uno dei tanti Simulacri: era dapprima diventato senziente, per poi ascendere ad un ruolo che più gli si addiceva, poiché era stato in grado di soddisfare le aspettative del Culto. Non era tanto un leader come altri suoi fratelli, ma più un guerriero completo. In effetti, quasi si stupisce di aver compiuto la missione praticamente da solo: è quando incontra davanti a sé alcuni Adepti che si ricorda come, in origine, egli avrebbe dovuto attaccare solo dopo aver controllato che i suoi nemici non avessero possibilità di fuga, circondando l'accampamento. Ma non aveva più importanza.
"Sommo Ezra, sta bene?" chiede uno dei soldati, probabilmente un novizio. Domande come questa erano infatti futili: grazie al volere del Grande Occhio e alla presenza del mare, qualunque membro del gruppo, usando abbastanza energie, era perfettamente in grado di collegarsi ai propri fratelli e quindi sapere istantaneamente se c'era qualcosa che non andava. Ezra sbuffa: forse era stato un errore reclutare in massa i Popoli dell'Ovest. La stragrande maggioranza di loro aveva poca o nessuna affinità con il vero potere. Certo, grazie ai loro numeri ora il Culto era in procinto di spingersi ben oltre il mare, tuttavia…
Era in questi momenti che il Cercatore-Bestia dubitava della sua fede, ma allo stesso tempo la adorava: egli era fiero di poter attingere ad un potere così vasto ed era fiero di poter essere considerato un qualcuno sopra alla massa; ambiva ad ascendere, così com'era successo ai Guardiani, al rango di diretti sottoposti della Divinità.
Parlando di divinità, egli si ricorda l'avvertimento di Yina a riguardo e si avvicina ulteriormente ai Cultisti che ha di fronte.
"Allontaniamoci." comanda secco, evitando di rimproverare i suoi seguaci, poiché non aveva voglia di giustificarsi nuovamente con Yina riguardo le "morti non necessarie". "Il Divino Prosciugatore è in arrivo per riciclare questi sciocchi." conclude, parlando telepaticamente con loro, senza aprire bocca.
Il solo nominare quella creatura, responsabile del controllo della mente comune del Culto, fa irrigidire gli Adepti, che finora probabilmente non l'avevano nemmeno mai vista in forma corporea. Ma avevano sentito le urla, negli abissi delle Piazzeforti. Lì dove coloro che rifiutavano la vera fede venivano lasciati, in un misto di incubi e sofferenza fisica, solo per poi essere guariti e intrappolati nei fantocci della Regina Bianca: un'esistenza che perfino Ezra definiva peggiore della morte.
Ezra richiama a sé il proprio pugnale, ora tornato in forma singola, ed inizia a scalare con rapidità il bordo del muro che ha di fronte. Quando arriva in cima, sente una forte corrente marina avvolgerlo e si lascia andare, pronto a viaggiare velocemente verso Thalassischira.
Mentre l'acqua lo trascina via, egli può osservare, grazie ad un altro dei doni della Divinità, la vastità dell'impero che stanno costruendo: dozzine di città si illuminano ai suoi occhi appena si concentra in una direzione; migliaia, se non centinaia di migliaia di vite che prosperano sui fondali e che, proprio mentre stava pensando questo, si preparavano per attaccare la superficie. Che la guerra totale fosse imminente egli lo sapeva fin da quando era stato reclutato nel Culto.
Ezra non era stupido e Yina lo aveva già iniziato ad istruire riguardo nemici molto, molto più potenti rispetto alle singole città dell'Egitto o della Grecia: ben presto il vero obiettivo del Grande Occhio sarebbe stato rivelato e ben presto il Culto avrebbe dato inizio ad una nuova era.
La corrente che lo trasporta perde di potenza e qualche minuto dopo lo abbandona completamente, lasciandolo galleggiare con una bellissima vista dall'alto di una vasta città in corallo, cristalli e roccia. Una profonda spaccatura nel terreno la divide in due, ma al centro della spaccatura vi è la Divinità. Un secondo Sole, immobile, una fonte di calore, potere e magia.
Anche solo guardarlo per poco tempo permette ad Ezra di sorridere, cosa che fa molto raramente.
Thalassischira lo accoglie.
È a casa.
Thalassischira, Città Sacra del Culto, 1200 a.C.
Quando la ragazza si sveglia, si sente strana: deve ancora abituarsi al suo nuovo corpo. Dal braccio, tre diversi occhi spuntano, aiutandola a coordinare i movimenti per scendere dall'altare sulla quale si era sdraiata. Alcuni adepti si fanno avanti per aiutarla, ma si bloccano appena una figura appare alle spalle della giovane e si genuflettono. La corrente marina cambia e trasmette una potente energia.
La sua voce viene trasmessa direttamente nella mente dei presenti e non semplicemente pronunciata. Non ha un tono femminile né maschile, è eterea e al tempo stesso estremamente familiare, quasi amorevole.
"Yina. Ben svegliata."
Yina si gira e si genuflette immediatamente, ma nel farlo cade su un fianco. Un piccolo fascio di capelli le si avvicina e, legandosi velocemente alle sue spalle e braccia, la aiuta a rimettersi in piedi.
La Regina Bianca, nonostante il nome, aveva innumerevoli capelli neri: la sua pelle quasi argentea in effetti brillava di bianco in fondo al mare e, se Yina non fosse stata informata, sarebbe stato molto difficile per lei scorgere quelle innumerevoli fauci sotto l'iniziale bellezza apparente della donna.
"Io n-non sono ancora Yina. Devo abituarmi a questo corpo prima di potermi chiamare così." risponde la giovane. Non ricordava più il suo nome. Ma ricordava di essere qualcuno di importante, qualcuno che la Regina aveva scelto appositamente per occupare il corpo di quella che era stata, in origine, la Fondatrice. Già solo il nominare questo titolo la fa fremere: il Grande Occhio stesso aveva stretto un legame con Yina, stringendola a sé nelle profondità degli abissi, più di 200 anni prima. Il potere che quindi la giovane poteva esercitare era semplicemente immenso, ma ancora sigillato per evitare il peggio.
"Devi esserlo. Poiché è il volere del nostra Divinità."
Non era la prima volta che accadeva. Quasi tutti i Guardiani, al momento della loro ascensione, avevano lasciato alle spalle i loro corpi e spiriti per divenire parte di qualcosa di più grande. Ma Yina non poteva essere davvero lasciata a sé. Il suo corpo poteva ancora essere usato e così eccola qui: una sorta di copia-fantoccio, che però era felice di poter essere utile al Culto. Un rimasuglio della coscienza della Yina umana, rimasta intoccata dall'ascensione imposta dalla Divinità e quindi riciclata all'interno del suo vecchio corpo.
Rei era invece solo un'adepta tra tante, scelta appositamente dalla Regina.
Questo era il suo nome ora, seppur segreto. Un segreto che la Divinità aveva imposto per evitare il diffondersi di incertezze circa la Cercatrice-Maga che aveva dato origini al Culto.
"Ci vorrà tanto tempo prima che tu riesca davvero a padroneggiare la tua forza. Ma, fino ad allora, dovrai comunque occupare il ruolo di guida delle nostre armate e di coordinatrice del Tridente. Compensa la tua mancanza di puro potere con la passione per la ricerca. Scopri quel che giace al di là del Suo sguardo. Sii quello che sarei voluta essere io."
I capelli della donna si scansano. I suoi occhi trasmettono dolore: Yina capisce immediatamente che la Regina, la vera proprietaria del suo corpo, rimpiange, almeno in parte, la propria ascensione, poiché ha perso i propri sogni; ma, al contempo, non percepisce dubbio, né incertezza. Essa continuerà a servire fedelmente il Culto finché la Divinità vorrà.
"Qual è il mio compito, quindi?" chiede la giovane mentre anche gli altri numerosi occhi sul suo corpo si aprono ad intervalli regolari. Le sue sensazioni, il potere, la missione, la ricerca… era tutto un carico così eccessivo sulla sua mente. Ma, col tempo, sarebbe divenuto molto più fattibile gestire il tutto.
"Lo saprai. Lo hai sempre saputo. Nelle tue carni giace la risposta."
Tutto diventa nero.
Nei sogni, la ragazza è in grado di navigare liberamente nelle menti di migliaia di adepti. In quel che sembra un fondale marino illuminato da centinaia di pietre luminose, essa è in grado di sentire sussurri, pensieri e voci. Percorre velocemente il sentiero delle menti del Culto, esplorando ogni luogo quasi come se tutte quelle vite le stesse vivendo lei in quel momento. Sente alcuni adepti pregare, alcuni Cercatori uccidere, altri ancora rimuginare sul passato. Infine, giunge al cospetto delle voci più forti: è difficile avvicinarsi o comprendere cosa stiano pensando, ma è chiaro che si tratta delle menti dei Guardiani. Una forte brezza la scansa via, facendola sbattere violentemente contro il fondale.
Rei si risveglia altrove, in un altro luogo e tempo. Un tempio isolato, nelle profondità della città, luogo inaccessibile se non ai preferiti del Dio… o ai traditori della fede. Più che tempio, è una singola stanza e la ragazza intuisce trattarsi delle sue personali camere private; c'era già stata in passato, ma era da tempo che non le visitava senza il permesso esplicito della Regina. Diversi scaffali scavati nella roccia sono ricchi di pergamene magiche, contenenti chissà quali conoscenze, mentre il vetro che dà verso l'abisso marino riceve il bagliore della Divinità senza alcuna difficoltà; al posto del letto, che non era di certo necessario nemmeno agli adepti novizi, vi è una grande area circolare con apposite rientranze atte a far scorrere il sangue. Varie incisioni di magia che per Rei è ancora poco comprensibile sono presenti, assieme ad un pugnale.
La giovane sente i capelli della Regina muoversi con frenesia nelle sue carni: essi sono l'unica cosa che le permettono effettivamente di vivere ancora e, avendo quasi una volontà propria, gli stanno cercando di comunicare qualcosa.
Il pugnale è ritualistico. È tempo che metta da parte le proprie paure e che inizi a praticare la vera magia.
Rei non esita a camminare in avanti ed inginocchiarsi. Afferra il pugnale e si recide l'avambraccio sinistro, facendo scorrere il sangue a terra. L'interno della maggior parte delle abitazioni del Culto era privo d'acqua, ma ciò non era un problema: con il Grande Occhio così vicino, la magia funzionava benissimo anche in assenza del suo conduttore principale. Quando le incisioni conducono il sangue sopra i glifi, essi si illuminano di potere. Rei viene investita da un potente contraccolpo che quasi la sbalza via dal cerchio. Si aggrappa con forza a terra e incastra il pugnale in una delle spaccature. Poi, mentre il dolore inizia a farsi sentire, trova ciò che stava cercando.
Le visioni, inizialmente sfocate e poco chiare, diventano sempre più numerose e comprensibili.
Micene, Creta, l'Egitto…tutte le grandi civiltà del mondo sono presenti. Ecco l'obiettivo del loro Dio. Rei getta un grido.
Il dolore si fa più acuto, la sua testa è come se stesse per esplodere. D'istinto, la ragazza estrae il pugnale e incide nuovamente il proprio corpo, stavolta sull'avambraccio destro. Il dolore non era solo fonte di potere, ma era la punizione per gli errori, quindi forse stava sbagliando qualcosa. E, difatti, con la seconda ondata di visione inizia a capire. Le grandi città si fanno sempre più chiare, ma non sono i loro campi agricoli il punto d'interesse o i possenti palazzi. Rei sente chiaramente le voci della popolazione, i loro mercati, le risate e le delibere dei re.
Il Grande Occhio non vuole il terreno. Non vuole le città.
Egli vuole le persone.
Egli vuole la vita.
Quando Rei è in grado di rialzarsi, nota che le proprie ferite si sono già rimarginate, anche se non sa dire quanto tempo sia passato. Forse settimane, mesi o anni, come l'ultima volta.
Però sente una debole corrente toccarle la schiena e, girandosi, nota la porta delle proprie stanze spalancata, con due Simulacri ai lati, in attesa. Gli Adepti di guardia già in ginocchio, ma non verso di lei, bensì verso due figure che lentamente avanzano.
Ptkoi e Ezra la fissano mentre si fa avanti per raggiungerli.
Il Cercatore Corazzato non pronuncia parola, ma i suoi pensieri comunicano sollievo nel vederla tutta intera.
Ezra invece le consegna una pergamena con su scritto quanto appreso dalla loro recente missione, ma in realtà Yina già le aveva comunicato ogni cosa a riguardo. Forse voleva metterla alla prova e farla continuare ad interagire con le visioni della Divinità per abituarsi.
Rei è soddisfatta nel vedere il Tridente raggiungere gli obiettivi previsti ed è sollevata che nessuno abbia ancora intuito dello scambio tra lei e la vera Yina. Dopodiché, annuncia la loro prossima missione.
"Il nostro Dio è pronto per la guerra. Dobbiamo radunare le armate, che saranno al nostro comando e sotto il comando delle Tre Corone. Una duplice forza colpirà il mondo degli uomini simultaneamente."
Ezra pare un po' perplesso. Ptkoi emette un grugnito, comunicando di non comprendere il significato dell'ultima parte della frase. Rei è costretta a ripetersi, attingendo a ciò che aveva visto nelle visioni.
"Anche i Guardiani d'ora in poi avranno parte attiva. L'Etereo Prosciugatore, la Regina Bianca e il Forgiatore formeranno una triade che ci aiuterà ad espugnare la Grecia; nel frattempo, noi tre porteremo l'Egitto in ginocchio e poi ci faremo strada verso le altre nazioni umane. L'intero mondo conosciuto cadrà."
Stavolta gli sguardi di risposta che la ragazza riceve sono molto più positivi.
I tre si incamminano fuori dal sistema di caverne e, sbucando al centro della città, osservano la Divinità fissarli quasi.
Non potevano fallire.
Era il volere del Grande Occhio.
Il Culto avrebbe trionfato, ora e sempre.
Elemento #: SCP-XXX-IT
Classe dell'Oggetto: Euclid
Procedure Speciali di Contenimento: SCP-XXX-IT deve essere contenuto in una cella standard per creature animali di stazza media, nel Sito Vittoria. Tutte salvo le attuali 4 istanze in contenimento devono essere terminate immediatamente e gli SCP-XXX-IT-B recuperati assegnati al Sito Vulcano per studi.
In qualsiasi momento almeno due Sistemi di Cella della Realtà di Tipo Fisso devono essere pronti all'attivazione qualora avvenisse un tentativo di violazione di contenimento; almeno una squadra della SSM-IV "Pugnus Ferri" deve essere dislocata invece in caso vengano individuate istanze di SCP-XXX-IT-A in libertà.
Le istanze di SCP-XXX-IT-A in cattività devono essere nutrite una volta al mese con degli animali vivi di piccola/media taglia: durante questo processo possono essere fornite di strumenti atti al taglio della carne per facilitare il processo di nutrimento.
Descrizione: SCP-XXX-IT-A è una specie di creature umanoidi vagamente rassomiglianti a membri animali dell'ordine dei roditori, alti dagli 0,8 agli 1,3 metri in media e pesanti dai 32 ai 48 kg. Le istanze di SCP-XXX-IT non sembrano essere distinte dal sesso, presentano un sottile manto peloso che tende al colore grigio e sono senzienti. Test d'intelligenza hanno rivelato il QI medio delle entità finora incontrate tra i 45 e i 65 punti.
SCP-XXX-IT-A presenta un'elevato grado di ostilità contro ogni essere vivente e tenteranno sempre di aggredirlo, specie dopo un lungo periodo di digiuno, con lo scopo di cibarsene: ogni istanza di SCP-XXX-IT finora incontrata tuttavia non si nutre delle proprie vittime attraverso la bocca (la quale dispone di dentatura regolare) bensì tramite numerose protuberanze simili a tentacoli che fuoriusciranno dal corpo dell'istanza poco dopo aver concluso l'uccisione e procederanno a consumare la carcassa della vittima tramite fagocitosi al livello cellulare. SCP-XXX-IT-A rifiuta di cibarsi di animali già morti e rimarrà spesso inerme durante il contenimento: in libertà invece le istanze dimostrano un'elevato grado di agilità e attività, spesso dimostrando anche un grande senso dell'orientamento quando raggruppate in più di due istanze per volta.
Addendum: (Paragrafo aggiuntivo opzionale)
Qui va un effetto di login, simile a SCP-132-IT
Per ordine diretto del Consiglio S5 e con l'approvazione degli O5, tutte le informazioni su SCP-XXX-IT sono state classificate seguendo il Protocollo Etru. L'accesso a tutta la documentazione su SCP-XXX-IT e su ogni sua variante è da considerarsi una violazione diretta delle politiche della Fondazione e pertanto, se non appropriatamente giustificata, verrà considerata l'immediata terminazione.
Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte.
Elemento #: SCP-XXX-IT
Classe dell'Oggetto: Keter
Procedure Speciali di Contenimento: SCP-XXX-IT-A deve essere contenuto in una cassaforte metallica priva di alcun tipo di combinazione, nel Sito Deus. Seguendo il Protocollo Etru, dodici simili cassaforti sono disseminate in varie aree del Sito e qualsiasi tentativo di forzatura di essere va immediatamente punito con la terminazione.
Con il supporto della Sezione Studi della Mente e della Memetica, l'interno e l'esterno di ogni cassaforte sopracitata è stato ricoperto di oltre trentadue differenti glifi memetici atti a contrastare gli effetti anomali di SCP-XXX-IT e a nascondere l'esistenza stessa delle casseforti all'intero personale della Fondazione.
L'esistenza delle casseforti è, al momento della scrittura, ignota anche al Consiglio S5.
SCP-XXX-IT-B non può essere contenuto, pertanto è stato invece effettuata una diffusione di massa sul territorio italiano di un agente memetico autodistruttivo, che renderà la maggior parte della popolazione civile immune agli effetti di SCP-XXX-IT. Tutti gli individui che sfuggano a queste procedure vanno immediatamente identificati dalla SIR-I e amnestecizzati o rimpiazzati con membri del personale affidabili. Ulteriori precauzioni sono state messe in atto per rimuovere la presenza di [REDATTO] insetti nel raggio di 1 km da ogni Sito o Area sotto la giurisdizione italiana.
Descrizione: SCP-XXX-IT è il nome collettivo di un effetto memetico che si diffonde da ogni istanza delle oltre 290 specie di Lepidoptera diurne, comunemente note come [DATI CANCELLATI].
SCP-XXX-IT-A è un libro di datazione, aspetto e ulteriori caratteristiche fisiche incerte; esso è stato confermato assumere più forme e variare considerevolmente le proprie caratteristiche in ogni sua manifestazione. Al momento della scrittura, SCP-XXX-IT-A ha assunto le sembianze di:
- Un libro per bambini, privo di titolo;
- Un diario scolastico di marca "Comix";
- Un compendio che racchiude una completa analisi delle oltre 290 specie di [DATI RIMOSSI] presenti in Italia;
- Un libro di cucina del noto chef Antonino Cannavacciuolo;
- Un libro di barzellette sui carabinieri;
- [DATI RIMOSSI] composto interamente di corpi di insetti fusi insieme e [REDATTO];
Molteplici copie di SCP-XXX-IT-A sono state individuate nel corso degli anni e distrutte con successo grazie all'intervento (tramite notifica non ufficiale) della Global Occult Coalition.
Addendum: (Paragrafo aggiuntivo opzionale)
Attribuzione immagini
titolo : "Gerald Scarfe"
autore : KUUNSTKUULTUR
fonte :
https://www.flickr.com/photos/23476059@N04/4846235304
lic. : CC BY 2.0
Ringrazio Ichne che tramite il discord mi ha dato accesso alla foto.
Grande Fame
Denominazione d'ufficio: PIC-112
Autore: Incerto - attribuito a Ekaterina Vosvod6
Data: Incerta - tra l'11 Novembre 1932 e il 14 Dicembre 1933
Luogo: Incerta - Località ucraina sconosciuta.
Dimensioni: 0,5 m x 0,9 m
Tecnica: Olio su tela.
Luogo dell'Esposizione: Galleria degli Uffizi, Firenze.
Descrizione: L'opera è un dipinto ad olio priva di particolari stili artistici, raffigurante un individuo che la (presunta) autrice ha identificato essere un suo compatriota, intento a patire la carestia generata dall'Holodomor durante gli anni di creazione del quadro. La tela stessa risulta essere estremamente rovinata, così come i colori, i quali dovevano essere oggetto di restauro ma ciò non è stato possibile a causa dell'eccezionalità dell'opera. La cornice fu commissionata dall'ex Tutore della sede MADAO di Firenze, Umberto Baldini, dopo aver conosciuto personalmente la presunta autrice nel 1945.
Eccezionalità: Avvicinare qualsiasi oggetto o parte di esso a meno di 17 cm dal lato frontale del quadro causa una violenta reazione da parte dello stesso: la figura è vista, con un rapido scatto, "affacciarsi" nel tentativo di mordere o mangiare ciò che ha di fronte. Tale fenomeno si applica anche con oggetti che vengano lanciati contro il quadro nella loro interezza; ad esempio, una mela verrà immediatamente divorata dall'opera senza lasciare nemmeno il torsolo. Questa eccezionalità non sembra avere alcun limite ed è stato ritenuto saggio porre l'opera all'interno di un contenitore di vetro onde facilitarne il trasporto e impedire accidentali esposizioni.
Conservazione: Come già menzionato nella descrizione, l'opera ha subito le conseguenze di una mancata conservazione e del tempo prima di finire nelle mani dell'Accademia; in aggiunta a tale sfortuna, le proprietà dimostrate dal quadro hanno impedito per ben quattro occasioni di attuare un qualsivoglia restauro e la tela originale risulta essere di scarsissima qualità. Con estremo disappunto da parte dei membri più anziani dell'Accademia, si stima che l'opera diverrà quasi completamente irriconoscibile entro il 2023.
Giudizio critico: L'opera è davvero un'eccezionale aggiunta al patrimonio artistico internazionale e il suo essere divenuta nota all'Accademia quasi per caso non fa che aumentarne il valore. Nonostante essa si discosti con forza da altri stili, rimane comunque in grado di affascinare chiunque la guardi, trasmettendo appieno le emozioni dietro la sua composizione. Lo stile pittorico deciso e la mano ferma dimostrano un talento quasi sovrannaturale che non fa che causare rammarico a causa delle attuali condizioni dell'opera […]
Supervisiore delle Arti Visive, Augusto Servolini
Provenienza:
Data incerta prima del 14 Dicembre 1933: L'opera viene (forse) realizzata da Caterina Visgardi in seguito al forte trauma riportato dalla (presunta) autrice.
4 Maggio 1935: L'opera viaggia assieme all'autrice, che emigra dapprima in Romania, poi in Yugoslavia e infine in Italia.
4 Ottobre 1938: Dopo essere stata oggetto di violenze da parte di ignoti, l'autrice entra in contatto con alcuni esponenti della MADAO con l'intenzione di vendere il quadro. Vengono perse le sue tracce prima di poter realizzare un incontro.
2 settembre 1945: L'autrice si rifà avanti sotto nome falso, tale "Michela Einaudi", stavolta con l'intento di far esporre il quadro invece che venderlo. Dopo un incontro con Umberto Baldini, l'opera passa sotto la tutela dell'Accademia. Tre giorni dopo, l'autrice lascia una lettera nella Sede Fiorentina, dichiarando di non essere la vera autrice e chiedendo scusa, procedendo a diventare poi irrintracciabile.
10 ottobre 1945: L'opera viene esposta negli Uffizi, dove rimane tutt'oggi.
Vengono riportate di seguito alcune annotazioni scritte dal Tutore Baldini circa due mesi dopo l'inizio dell'esposizione. Egli comporrà un intero documento cercando di rintracciare le origini del quadro e la storia dell'autrice, senza successo.
Avrei voluto iniziare prima questo piccolo diario, ma sfortunatamente la ragazza non voleva che prendessi appunti e, tra un'impegno e l'altro, me ne sono completamente dimenticato.
Non credo comunque che mai nessuno leggerà queste mie pagine: se mai invece ci sarà qualcuno, forse spinto dalla mia stessa curiosità verso le origini della strana opera che ora giace a circa quattro stanze di distanza da me, egli rimarrà deluso.
Inizio col dire che, indipendentemente da quanto ho dovuto scrivere nei documenti ufficiali per correttezza, sono fermamente convinto che la ragazza che ci ha consegnato il quadro, la cui vera identità ho scoperto essere quella di "Caterina Visgardi", sia la vera autrice dell'opera. Lo ha negato fin dal primo momento e ha riaffermato la cosa nella sua lettera di qualche tempo fa: eppure, nonostante mi abbia detto tutto, so che si tratta di lei, senza alcun dubbio.
Ma andiamo con ordine e sperando che la memoria mi assista.
Caterina viveva, prima di arrivare su suolo italiano, in un piccolo villaggio a sud di Kiev, vicino al Dniepr. Mi disse di come la sua infanzia era stata pressoché intatta nonostante la guerra e la povertà. Mi disse di come amava particolarmente correre nei campi e di come suo padre, un pittore, amasse dipingere i paesaggi.
Ma poi erano arrivati i sovietici. Pretesero tutto, anche il grano che serviva per sostentare la famiglia di Caterina. Suo padre si era opposto e di conseguenza i soldati avevano bruciato i suoi quadri e rubato quelli più preziosi. Si è messa a piangere nel descrivermi il resto degli avvenimenti, mentre fissava il quadro.
Fu durante quei giorni che, a soli sedici anni, disse di aver incontrato un ragazzo nel suo paese: stava per partire e diventare soldato, poiché suo padre era un ufficiale di alto rango e gli aveva assegnato una posizione privilegiata. Ma il suo cuore apparteneva al piccolo villaggio. Se non ricordo male, il suo nome era "Victor" e promise, in cambio della mano della ragazza, di estinguere la carestia e impedire ulteriori sofferenze.
Fu durante quella stessa notte che Caterina disse di essersi svegliata e di aver perso il controllo del proprio corpo mentre fissava una delle tante tele bianche del padre. Non ha saputo aggiungere altro, a parte ripetere con ossessione che non era stata lei a dipingerlo: il mattino dopo, suo padre non c'era, ma un furgone militare aveva appena portato un nuovo carico di cibo e medicine.
La cosa si era ripetuta: ogni volta che faceva un incubo, le persone attorno a lei iniziavano a sparire ma arrivava un carico di cibo e altri generi di conforto. Ben presto, Caterina perse il controllo, forse nel disperato tentativo di rimanere sana, si convinse che subire quella sofferenza era necessaria per far stare bene il suo villaggio: e così si isolò per oltre quattro anni, subendo incubi costanti, svegliandosi la notte e continuando, occasionalmente, a dipingere il quadro.
Non poteva allontanarsi dal quadro, non poteva pensare ad altro. Ad un certo punto ha iniziato a pensare che forse era tutta colpa sua. Quando me l'ha raccontato, era ovvio che stava cercando di convincere più sé stessa che me.
Il problema è che, dopo aver fatto una breve pausa e averla vista piangere, la Caterina con cui avevo parlato qualche minuto prima era completamente cambiata. Secondo la sua "nuova" versione dei fatti, radicalmente diversa da quella che mi aveva inizialmente raccontato, fu suo padre a dipingere il quadro prima della carestia, per poi abbandonare il villaggio alla ricerca di fortuna nelle grandi città. Non ho idea del perché, da quel momento in poi, lei abbia continuato ad insistere sul non essere la vera autrice, ma sembrava davvero spaventata dall'essere considerata tale.
Comunque siano davvero andate le cose, mi sorprende che la ragazza non abbia mai distrutto il quadro, fonte di trauma per lei: anzi lo ha conservato ed è stata quasi l'unica cosa che ha portato con sé, seppur in maniera precaria, quando è scappata dall'Unione Sovietica quasi dieci anni fa. Dio solo sa cosa può aver passato questa povera anima da sola, in giro per mezza Europa.
E mi rincresce sapere che, nonostante tutti i miei tentativi, sono riuscito a malapena a scoprire il suo vero nome solo pochi giorni fa e solo grazie alla sua lettera.
In cuor mio, spero che stia bene.
All'attenzione del gentilissimo Umberto Baldini.
Grazie.
Grazie per avermi aiutato a liberarmi di questo peso: ora posso finalmente vivere la mia vita lontana da quel quadro e il demone non mi cercherà più. Le memorie prima o poi scompariranno e anche gli incubi con esse. Qualsiasi cosa succeda, la prego con tutto il mio cuore di non considerarmi mai l'autrice del quadro. Io non c'ero, fu mio padre, io ero solo una ragazzina ai tempi, io…
Non posso più andare avanti.
Anche se continuo a negarlo, quel mostro appare in sogno. Mi divora la coscienza, mi prende in giro. Dice che ho ancora un conto da pagare per tutto quello che ho fatto. Dice che, in origine, il quadro non era previsto nell'accordo, ma solo un modo per vedermi soffrire di più.
Mi dice avrei potuto salvare mio padre se non fossi stata una stupida ragazzina.
Ma non ha più importanza ora.
Grazie.
E addio.
Ekaterina Vosvod
Caterina Visgardi
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CONFERMATO
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CONFERMATO
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NEGATIVO
Prego mostrare l'occhio sinistro allo scanner ottico. Si prega di rimanere immobile:
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CONFERMATO
Prego visualizzare l'agente memetico fatale. ATTENZIONE: IL PERSONALE NON AUTOORIZZATO POTREBBE SUBIRE DANNI CEREBRALI IRREVERSIBILI. Inoltre, la SIR-I "Aurae Notitiae" verrà mobilitata.

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CONFERMATO

Rovine esterne a SCP-XXX-IT-C.
Attribuzione: qui.
Elemento #: SCP-001-IT/CAOS
Classe dell'Oggetto: Keter
Procedure Speciali di Contenimento: SCP-001-IT/C è, al momento della scrittura, impossibile da contenere a causa delle condizioni ambientali del
Descrizione: (Paragrafo che descrive l'elemento)
Addendum: (Paragrafo aggiuntivo opzionale)
Note dell'autore: Consiglio l'ascolto di questa soundtrack che mi ha ispirato particolarmente:
I will wager with you, i will make a bet. The longer you deny me, the stronger i get.
Paura
21 settembre
Non so cosa pensare riguardo a quanto ci è stato riferito dal Cardinale. Marco mi ha tranquillizzato, dicendo che, anche nel peggiore dei casi, andrà tutto bene. Alla fine, io sono nuovo, ma il resto della squadra è una delle migliori della Confraternita
Potrebbero anche essere solo un falso allarme, chi lo sa. Alla fine si tratta solo di sogni, no?
Comunque sia, ci hanno detto di stare attenti. Il Demonio si annida per quella zona, in attesa di vittime; Padre Ardente ci ha informato di almeno quattro persone scomparse negli ultimi tempi. Durante il viaggio e la permanenza cercherò di studiare di più circa i documenti che abbiamo a disposizione. È un bel faldone, ma perlomeno i nostri fratelli non avranno nulla da temere quando uccideranno il demone.
Sono da poco passate le cinque quando, a passo svelto, Carlo attraversa il parchetto della sua città, con l'intenzione di fare qualche giro correndo per poi rientrare a casa. Sulla soglia dei cinquantaquattro anni, Carlo si era dovuto alzare prima del previsto, quella mattina, a causa dell'ennesimo problema sul posto di lavoro. Ormai erano anni che doveva sopportare quelle routine sfasate, ma almeno era riuscito, forse per miracolo, a rimanere sempre fedele al suo programma di allenamento e tenersi a dieta.
Inoltre, non doveva temere eventuali malintenzionati, sia perché erano ormai dieci anni che lavorava nel settore della sicurezza privata sia perché nel suo quartiere non era mai accaduto nulla che andasse oltre qualche multa per eccesso di velocità.
Carlo gira a destra e imbocca uno dei percorsi privi di mattonelle, quelli che fanno sconfinare il parco nel bosco lì vicino e da lì nella vallata. Il panorama, seppur ancora scuro e con poche stelle a illuminare la notte, era strepitoso.
Bzzz.
La vibrazione del telefonino lo sorprende un attimo: era convinto di averlo lasciato sul comodino. Anche se leggermente infastidito, rallenta il passo e si ferma vicino ad una delle fontanelle pubbliche, con l'intento di riempire la propria bottiglietta, visto che, anche se non si era scordato il proprio cellulare, si era invece scordato di portare con sé un po' di acqua fresca. Stava perdendo colpi, Marta aveva ragione.
Carlo afferra il telefonino, lo sblocca rapidamente grazie all'assenza di codice e clicca subito sull'app di messaggistica.
"Ehi Carlo. Turno anticipato stamani." dice Maurizio, il suo collega tramite instachat.
Carlo per poco non molla una bestemmia. Fin da quando era nata Sara, sua figlia, aveva sempre cercato di essere lì per lei anche quando il lavoro glielo impediva. Ed ora era più di un mese che, a causa di clienti molto impazienti, finiva per fare gli straordinari, uscire di casa il mattino senza poterla salutare e rientrare quando già dormiva.
Lui non riusciva più a farcela.
Bzzz.
Il rumore del telefonino viene brevemente mascherato da un fruscio nei cespugli. Carlo non si scompone, anche se gran parte del parco è nel buio. Dopo essersi scolato l'intera borraccia, procede a riempirla di nuovo mentre afferra nuovamente il proprio cellulare.
"Ah, meglio se non passi in ufficio oggi. Mario e il capo sembravano abbastanza irrequieti ieri sera e dicevano di volerti parlare per bene."
Carlo inizia a diventare nervoso. Era vero, Mario lo aveva scoperto con delle foto particolarmente incriminanti sul PC del lavoro, ma lui era stato bravo ed aveva cancellato tutto senza problemi. Sfortunatamente, ciò non aveva impedito a quella bocca larga di fare due più due, ma anche se fosse non aveva alcuna prova, quindi nessuno lo avrebbe licenziato.
Bzzz.
"Sai, sono io che mi occupo della cybersicurezza dell'azienda. Quindi ho visto chiaramente cosa hai cancellato ieri in fretta e furia. Una trentina di foto più diversi video…"
Ecco, ora aveva paura. Paura che lo scoprissero, che tutto venisse fuori. Paura di perdere la faccia, il lavoro, il rispetto della sua famiglia.
I soldi erano davvero valsi la pena? Forse avrebbe dovuto chiedere di più, visti i rischi.
Stavolta il telefono non fa "bzz". Carlo lo ha già in mano, aperto. L'uomo impreca quando osserva la scritta sotto al profilo di Maurizio passare da "sta scrivendo…" a "online". Quei pochi istanti sembrano durare un'eternità.
"Voglio comprarle, comunque."
Cazzo. Se lo era aspettato da quei due stronzi della segreteria, ma non dal suo operatore remoto. Carlo per un momento aspetta prima di scrivere: non ha paura di essere scoperto, si fida ciecamente di Maurizio. Però qualcosa non va, quindi sa esattamente come rispondere.
"Non le hai già viste?"
"Ho solo visto i nomi dei file. Dovresti imparare a nascondere meglio le tue tracce, anche se qui al lavoro a momenti quasi nessuno sa nemmeno rinominare una cartella."
"Ok…allora fanno 200€."
"Cazzo, è roba costosa. Daje, non mi fai uno sconticino? Ti ho offerto tipo venti volte la colazione, senza contare tutte le volte che ti ho coperto mentre staccavi prima dal lavoro."
"Mauri, questo non c'entra col lavoro cazzo."
Un altro brusio. Sì, Carlo stava diventando ansioso. Non gli era mai capitato di fare affari via chat, né si sarebbe mai immaginato di farli con un suo amico stretto. Con la coda dell'occhio, gli sembra quasi di vedere qualcosa che si muove vicino alle giostre del parco. Quando si gira, vede solo un piccolo corvo che svolazza via quasi immediatamente.
Un altro messaggio. La luce del telefono forse è troppo forte, oppure all'improvviso il parco è diventato più scuro?
"Sì che c'entra. Me lo devi."
"E va bene. Facciamo 175."
"Ma che sei matto. Che cavolo hanno di tanto speciale?"
"Mauri è minorenne cazzo. Ed è mia figlia."
Una goccia di sudore cade sullo schermo, ma Carlo è talmente nervoso ormai da non accorgersene nemmeno. Si guarda intorno con ansia. Il corvo di prima è tornato, ora lo osserva dall'albero accanto alla fontana.
Bzzz.
"Quanti anni ha, che non ricordo?"
"14"
"Cristo. Vendere foto del genere è rischioso."
"Non giudicarmi. Devo arrotondare, lo sai."
"E tu non sparare stronzate. Guadagni bene e lo sappiamo entrambi, quindi non c'entrano i soldi. Perché allora?"
Carlo rimane qualche minuto a fissare l'ultimo messaggio. Ormai era andata, tanto vale dirlo anche a mauri. Però…continuava a sentirsi a disagio. Forse sarebbe stato meglio parlargliene di persona. Sì, decisamente.
"Devo andare, ci vediamo dopo." scrive frettolosamente, per poi rimettere il telefono in tasca. Andava tutto bene.
L'uomo fa dei respiri profondi, infila la borraccia nello zainetto e riprende la sua corsa mattutina. Strano, così vicini all'alba eppure è ancora tutto nero pece. Prosegue spedito lungo il lato esterno, poi finalmente giunge al muro del vecchio cimitero, lo tocca e ritorna sui suoi passi. Proprio in quel momento, sente chiaramente un altro "Bzz" provenire dal suo telefono cellulare. Si stava rilassando, ma quel pensiero era ancora lì, nell'angolo del suo cervello.
E se andasse alla polizia? si chiede il cinquantatreenne, mentre inizia ad avere il fiatone. Le gambe gli fanno male, anche se di solito riusciva a correre per più di cinque chilometri ed ora non era nemmeno arrivato a due. Forse stava davvero dando troppo peso alla cosa, eppure…
Ricordava esattamente com'era iniziata. Era avvenuto tutto per caso: la figlia, che fino a pochi anni prima era quella meno esperta di tecnologia della casa, gli aveva chiesto di trasferire alcune foto dal suo vecchio cellulare a quello nuovo. Lui non ci aveva fatto troppo caso all'inizio, ma quelle foto erano rimaste lì, sul suo computer di lavoro, che nessuno toccava a parte lui. Poi, erano passate sulla sua chiavetta, e fu solo diversi mesi più tardi che egli realizzò cosa aveva tra le mani.
All'inizio aveva pensato di confrontare la figlia: perché aveva quelle foto? C'era forse un ragazzo dietro? Qualche maniaco?
Ma poi aveva capito che si trattava di semplici foto private che la ragazza probabilmente usava per osservare il proprio corpo che cresceva; un abitudine che non era possibile constatare in quante altre giovani ragazze fosse comune. Comunque, Carlo aveva anche pensato di cancellarle, ovviamente. Ma l'idea che vi fosse qualcosa dietro lo…faceva sentire strano. Una sorta di piacere…uno strano senso di veder qualcuno di così caro a lui venir deturpato.
Ne aveva parlato con la moglie, omettendo ovviamente la maggior parte dei dettagli, ma lei non si era dimostrata interessata a questo tipo di "giochi di ruolo" né alla sua ben più sconcia proposta dello scambio di coppia. Quindi, oltre ad aver adirato la moglie ed essersi causato maggior frustrazione, l'unica soluzione a cui era riuscito a pensare era quella. Anche il solo pensiero delle sconcerie che gli altri avrebbero fatto con tali foto lo faceva eccitare tantissimo.
Quindi, parlandone con qualche sua conoscenza al bar, aveva fatto la prima vendita, con la scusa di aver bisogno di soldi; poi la seconda, la terza e così via. Dopo ogni transazione si rifugiava nella propria macchina, di solito posta in un vicolo abbastanza isolato, per dar sfogo alle proprie pulsioni.
Ed ora tutto questo stava per finire forse? La paura lo assaliva. Nonostante i suoi tentativi, cede e apre lo zainetto per afferrare il proprio telefono:
"Non ci sarà un dopo Carlo. Avevo dei sospetti e ho già informato la polizia."
Oh cazzo. No, no, no no no no no no no.
Questo non stava accadendo realmente. Cazzo, cazzo, cazzo. No! NO!
Carlo inizia a bestemmiare a ruota libera. Si appoggia alla ringhiera che dà sul fossato, sudando copiosamente. La sua vita era andata, finita, cancellata.
L'uomo ormai sta già contemplando la via più semplice, quando un corvo gracchia rumorosamente alle sue spalle; il cinquantatreenne si gira, carico di irritazione: ci mancava solo quello stupido uccello, a provocarlo. Carlo scatta e tenta di colpire il corvo con un calcio, ma non ottiene il risultato sperato; difatti, scivola e finisce a terra, sul duro pavimento del viale del parco. L'alba, che dovrebbe dargli un senso di calma e calore, non arriva, anche se ormai sono le cinque e mezza passate. Invece, c'è solo una brezza gelida. C'è solo oscurità.
Il corvo gracchia ancora e si avvicina all'ormai sempre più alterato Carlo, che si rialza a fatica. Molla altre imprecazioni e, miracolosamente, riesce ad afferrare l'uccello, che lo graffia con gli artigli mentre l'uomo stringe la presa. Finalmente, sente un flebile "crack" e il maledetto smette di muoversi.
Carlo è troppo arrabbiato e spaventato per capire che quello che ha in mano si è tramutato in un semplice ammasso di piume. Carlo è troppo lontano da chiunque possa aiutarlo.
Con un sibilo e un ulteriore gracchio, l'uomo non c'è più, divorato dall'oscurità che lo circonda e lasciando solo qualche goccia di sangue a terra. Un artiglio gli squarcia il petto mentre una, due, tre anzi cinque fauci affondano i denti della carne.
Il telefonino, rimasto a terra e con instachat ancora aperto, vibra per un secondo prima di mostrare una nuova notifica sul proprio schermo, proveniente da un certo "Maurizio Collega".
"Ehi Carlo, turno anticipato stamani."
Un singolo corvo si alza lentamente dal parco qualche secondo dopo. A giri.
Dolore
22 settembre
Il Cardinale ci ha chiamato oggi. Tramite l'ausilio di una Reliquia, ha descritto più nel dettaglio i sogni premonitori che ha avuto. Dice che il Nostro Protettore gli ha parlato di un demone antico e pericoloso che ha tormentato i nostri confratelli da secoli, ma è sempre rimasto nell'ombra.
Non so cosa pensare. I documenti che sto leggendo sono sempre più criptici e privi di alcuna informazione utile. Lettere su lettere e diari su diari che risalgono ai tempi delle crociate: forse è da lì che questo mostro ha avuto origine.
Domani entreremo nella città. Padre Ardente dice di aver appena saputo di un nuovo attacco, nel parco cittadino. Dio, dammi la forza di essere all'altezza di questa squadra. Non voglio deludere nessuno.
Giuseppe Cardigola, sessantotto anni compiuti, non aveva mai visto uno spettacolo del genere. Una parte di lui continuava, nonostante le evidenti prove, a non credere a quello che aveva davanti. L'intero suo prezioso pascolo, sulla quale si fondava la sua sussistenza, era morto: decine di pecore, mucche e maiali smembrati, lasciati mezzi dilaniati sul proprio filo spinato, gli uni sopra agli altri. Inizialmente aveva pensato ad un branco di lupi, ma non se n'erano mai visti in zona; forse allora, erano stati dei teppisti o dei ladri, ma anche se avessero voluto, nessun umano poteva aver causato quelle ferite così profonde. Una delle mucche in particolare era stata lanciata contro il muro di pietra della stalla ed era ormai ridotta ad una poltiglia di carne. Tutti gli animali, specie quelli che si erano intrappolati da solo nel filo spinato, avevano dei pezzi del proprio corpo mancanti e tutta l'erba attorno sporca di sangue, con aggiunta di interiora sparse ovunque e carne mangiata a pezzi.
"Peppe, che vuoi che ti dica, hai presente quello che è successo al Gianni no?"
"No Luca, non l'ho presente-" risponde Giuseppe, bestemmiando e sputando a terra "Qui si parla di tutto il mio cazzo di lavoro! Andato! E chi cazzo è stato adesso?!" urla in risposta l'uomo, agitando il proprio fucile a pallettoni. Erano anni che non lo utilizzava, probabilmente era anche inceppato, ma fin da quando la sera prima aveva udito tutti quegli schiamazzi in simultanea, non se ne era più separato.
"Massì, isteria animale o robe così. In pratica tutte le galline hanno smesso de botto de cova e lui è rimasto con le gambe all'aria." prosegue Luca, mentre si accende un sigaro "Dai te aiutamo noi del paese. Tu figlio lo sa?"
"Quel coglione ha detto che se ne sbatte il cazzo della fattoria, quindi figurati se lo cago. Ingrato. Comunque, grazie Luca…è che davvero boh, non me lo spiego. Li vedi i cazzo di morsi? E i graffi? Dalle galline che smettono di cagare a questo ci passa, che cazzo."
"Eh Peppe, io non ne so più de te. Se vuoi andiamo dal prete. Magari c'è di mezzo il demonio." commenta l'uomo, scoppiando a ridere poco dopo.
"Vabbè, fanculo, andiamo a bere. Dopo mi aiuti a pulire sta merda?"
"Paga e ci penso."
"Figlio di puttana."
"Un uomo di cinquantatré anni, sì. Non molto alto, coi capelli corti, un po' bianchi. Abbastanza in forma e…credo sia tutto. Indossava la sua tuta preferita ehm…marca Nike mi sembra… e non saprei che altro dire. Vi prego, trovatelo." chiede, con occhi umidi, la signora Marta, mentre Elia osserva la scena accanto al furgone della propria squadra. Marco finisce di prendere appunti e, mentre Padre Ardente tranquillizza la donna, si dirige verso i propri compagni.
"Ok, l'ultima volta che è stato visto era uscito per la sua solita corsetta mattutina. Prima dell'alba, nel parchetto qui vicino. Tutto questo è successo ieri, per cui occhio, quello che cerchiamo potrebbe essere ancora lì." dice l'uomo, portando una mano sul crocifisso in legno che tiene un po' sporgente fuori dalla divisa. Elia scatta in piedi e mette via il diario sulla quale stava scrivendo la pagina del giorno; forse ora finalmente, sarebbe tornato utile a qualcosa.
"Che cosa facciamo?" chiede, con voce un po' titubante, il ragazzo. Nella sua testa, chiede a Dio di aiutarlo a superare quel terribile senso da "estraneo" che ha col resto della squadra il più in fretta possibile.
"Tu Elia vai sul suo posto di lavoro. Forse abbiamo tra le mani un demone che non è poi così stupido, se non ha lasciato tracce. Mentre Padre Ardente parla con la polizia per ottenere informazioni sugli altri scomparsi, tu vedi se sul posto di lavoro è rimasto qualcosa. Michele, vai con lui." ordina Marco, senza scomporsi. Elia può chiaramente udire uno sbuffo provenire dal loro autista, ma decide di non farci caso; forse era solo paranoia.
"…tutti gli altri, con me nel parco. Muoversi." conclude il loro comandante, prima di avviarsi lungo la via, seguito dagli altri quattro membri della squadra. Elia si sente un po' a disagio, quindi si gira e sale sul furgone. Tenta anche di approcciare Michele, scherzando sul come loro si siano beccati il lavoro più facile. Michele non risponde e non proferisce parola per i restanti undici minuti e cinquantotto secondi di viaggio, al termine dei quali emette un singolo sibilo, che Elia riconosce come un "Scendi".
L'azienda di sicurezza non sembrava chissà che, incastonata in un piccolo palazzo privato nella città vicina. Mentre scende dal furgone, Elia non può che notare la presenza di soli due mezzi adatti alla sicurezza, il quale rafforzava la sua opinione circa le dimensioni ristrette della compagnia.
"Siamo della polizia, vorremmo avere più informazioni circa Carlo Procida, scomparso ieri mattina. Sappiamo che lavorava qui, giusto?" chiede Michele, fissando la giovane segretaria poco oltre l'ingresso. Elia nel frattempo osserva il resto della reception: nulla di esageratamente lussuoso, ma nemmeno spartano; quando prova a sedersi su una delle poltrone, è richiamato dal suo collega, che, con un singolo "Muoviamoci" gli indica l'ascensore lì vicino. Una volta dentro, finalmente si decide a parlare. Elia non riesce a reggere il suo sguardo, quindi si concentra sulla fondina, che presenta, oltre alla classica pistola benedetta d'ordinanza, numerosi altri taschini chiusi; su uno di essi, è addirittura riposto un piccolo lucchetto…che sia una reliquia?
"Io vado a parlare col suo capo. Tu setaccia l'ufficio. Dobbiamo capire se il Demone ha influenzato anche questo posto." comanda l'uomo al suo fianco, con voce roca. Non sembrava essere troppo anziano, forse qualche anno in più di Marco, ma Elia aveva notato durante il viaggio le sue profonde cicatrici su quasi tutto il braccio sinistro, quindi forse era per quello che gli sembrava il più esperto dell'intera squadra.
Risponde con un timido "O-Ok" prima di allontanarsi rapidamente una volta che le porte dell'ascensore si aprono. Si ricorda, solo in un secondo momento, di non aver chiesto indicazioni e quando si gira Michele è già svanito. Guardandosi attorno, Elia inizia già ad andare in panico, ma si trattiene, ricordando le lezioni di meditazione e respirazione apprese da Padre Cristante. Sì, uno, due, tre, quattro…inspira. Uno, due, tre, quattro… espira. Uff, stava già funzionando.
Lo interrompe sul più bello una voce sottile e femminile, che a primo impatto ricorda ad Elia una giovane ragazza sua compagna delle superiori "Scusa, ti sei perso? Sei nuovo forse?"
Quando apre gli occhi, il ragazzo si trova davanti a tutt'altro rispetto alla sua immaginazione: una donna alta, con gli occhi pieni di impazienza, che probabilmente in altro contesto lo avrebbe strangolato per avergli fatto perdere tempo. Anche la sua voce pare improvvisamente più roca.
"E-Ehm… no guardi…cioè, insomma…" pronuncia a stento il giovane, senza riuscire a giustificarsi.
"Pfff. Stupidi stagisti. Beh questa è l'area uffici, non è di certo dove dovresti essere. Riporta il tuo culo al piano terra e-" borbotta la donna, prima di essere interrotta dall'arrivo provvidenziale di Michele.
"Chiedo scusa, è con me. Siamo della polizia, investighiamo la scomparsa di Carlo Procida." chiarisce l'uomo, ponendosi fra Elia e la sua esecuzione.
La donna risponde con un "Bah" e si allontana, quando Michele la insegue, chiedendo se conoscesse la vittima.
"Non… non particolarmente. Stava sempre sulle sue. Mi ha sempre trasmesso una… sensazione strana. Comunque, devo andare. Arrivederci."
"Bene, siamo punto e capo. Ma tu non dovevi parlare con-" tenta di chiedere Elia, mentre Michele sospira e scuote la testa.
Osservandolo, pronuncia delle parole dolorose.
"Ma come hai fatto a finire nella mia squadra? Ti sei fatto mettere in difficoltà dal primo imprevisto. Dov'è la tua…la tua specialità?"
"Io…non…" Elia distoglie lo sguardo e porta le mani al petto.
"Quando Marco mi ha detto che avremmo avuto una nuova recluta, credevo sarebbe stato qualcuno di migliore, sinceramente. Siamo la miglior squadra di ricognitori della Confraternita, eppure tu rimani qui a cagarti sotto. Non hai neanche il coraggio di guardarmi negli occhi, come diavolo farai ad affrontare una vera battaglia?" borbotta nuovamente l'uomo, sussurrandogli un triste "Spero ti trasferiranno il prima possibile. Non ti voglio vedere morto nella prima missione." prima di allontanarsi.
Elia è muto. La sua fede in Dio, per un secondo, vacilla. Forse era vero. Forse non era niente. Ma allora, perché Padre Cristante…
"Muoviti. Ci ha chiamati Marco alla radio. Ha novità e dobbiamo raggiungerlo immediatamente."
"C-Cosa? Dove andiamo? Cosa è successo?"
Michele risponde con un secco "Li ha attaccati." prima di premere il pulsante.
Il dolore era fortissimo. Marco non era sicuro di riuscire a sentire più le gambe, ma, quando finalmente riesce a rimettersi in piedi, scopre con orrore di essere rimasto da solo. Si guarda il corpo: la caduta dal parco gli è costata cara, sta perdendo sangue da più punti ed ha probabilmente il braccio rotto. Come se non bastasse, il sapore ferroso che ha in bocca gli causa anche una forte nausea. L'uomo stringe i denti e si guarda anche attorno: si trova all'ingresso di una caverna e può chiaramente notare che sopra di lui, a non meno di dieci metri di altezza, si trova il parco dal quale è scivolato. O, per meglio dire, era stato fatto scivolare. La testa gli pulsava e già non riusciva a ricordare bene i dettagli. No, non era scivolato. Qualcuno lo aveva spinto, sì.
La sua borsa è atterrata per fortuna poco distante. Quando prova a camminare, Marco cade rovinosamente a terra ed è costretto a strisciare, lasciando una scia di sangue. Sì, sta per morire. Ma, con le ultime forze, apre la borsa e afferra l'ampolla che c'è dentro: la grazia divina aveva retto e fatto in modo che non si rompesse. Non appena la stappa, si sente già meglio e il liquido trasparente all'interno della boccia si fa sempre più scuro, mentre le sue ferite si rimarginano ad una velocità impressionante. Riesce a rimettersi in piedi senza ulteriori sofferenze e, quando è completamente guarito, la boccia ormai contiene un liquido nero pece.
"Qui Torre Uno, qualcuno mi riceve?" chiede alla radio, ricevendo solo statico in risposta; Marco presto realizza che gran parte del suo equipaggiamento, inclusa la radio, è irreparabilmente danneggiato o mancante. Come se non bastasse, ha anche perso la propria pistola benedetta ed ora l'unica cosa che resta è lo stiletto d'ordinanza, una lama che, anche nella migliore delle ipotesi, non avrebbe avuto speranza contro quel demone. La grazia divina aveva protetto il giovane comandante: non era riuscito a vedere per intero il mostro che li aveva attaccati quando, durante le indagini, avevano seguito la scia di simboli demoniaci incisi sulle mura di un vicolo poco lontano dal parco; gli altri due membri della squadra invece lo avevano fatto e… le loro urla iniziano a riecheggiare. Qualsiasi cosa fosse, quel demone era al di là delle loro capacità e non aveva esitato a manifestarsi per attaccarli. E per giunta, la persona che era con lui lo aveva spinto di sotto. Era forse un traditore? Un miscredente? O aveva agito perché corrotto dal demonio?
"Qui Torre Uno, qualcuno mi sente?!" chiede ancora, esitando. Sente un lieve fruscio e una brezza provenire dall'interno della caverna alle sue spalle. Poi, le urla. Riconosce la voce dolorante, che chiede aiuto, come quella di Elia. Che cazzo ci faceva lì? Il Demone aveva preso anche loro?
Marco urla un "Elia! Sei tu?!" prima di avanzare a passo svelto verso la caverna e fermarsi non appena intravede una lunga scia di sangue scendere nelle sue profondità. Altre tre scie sono disposte sulle pareti e sul soffitto, con una sorta di macabra simmetria, mentre sulle pietre e i macigni è inciso quel triangolo, un simbolo che emette una luce rossastra e un'aura incredibilmente negativa. La mente del comandante della CCSG si offusca e inizia a riempirsi di egoismo e di tentazioni già solo nel fissarlo.
Elia forse era lì dentro, assieme a tutti gli altri. Forse era rimasto da solo, forse era tutto solo una illusione. Marco non riesce più ad elaborare quanto è accaduto, quindi si corre via, tentando di ottenere un contatto alla radio, di chiamare rinforzi, di smetterla di sentirsi così vulnerabile. La vista che lo accoglie non è delle migliori una volta uscito dalla fitta foresta, qualche minuto dopo.
Una intero campo riempito di mucche, maiali e galline squartate. Una scia di sangue che proseguiva fino alla fattoria principale, dove la recinzione era stata avvolta a delle povere bestie ancora in vita e lasciate ad un lento dissanguamento. Questo non era l'opera di un demone, era…era il male incarnato. Gli schiamazzi, il sangue, le interiora e le urla umane sentite poco prima non abbandonano la mente di Marco, che si accascia al suolo, esausto sia fisicamente che mentalmente. L'erba che lo circonda non gli dona affatto calma: non è fresca, non è soffice, bensì calda, caldissima e tremendamente appiccicosa. Marco non nota che il sangue delle carcasse sta lentamente confluendo verso di lui, come se fosse attratto da una creatura vivente.
Ed ecco giungere un singolo corvo, che lo fissa con i suoi tre occhi. Le ferite dell'uomo si riaprono all'istante, annullando tutta la grazia divina che proteggeva la sua flebile anima. Marco urla: un urlo disperato, un urlo che lo riporta a quando per la prima volta, diversi anni prima, aveva affrontato il suo primo demonio di alto rango, che lo aveva ridotto in fin di vita. Allora aveva i suoi compagni con sé; aveva fede nella potenza della luce del Signore…
Ma stavolta non c'era nulla di tutto questo. Un colossale mostro, grande diverse volte tutti gli animali che aveva dilaniato attorno a sé, si palesa davanti a lui, mentre un triangolo rosso emette una vaga luce rossastra e un singolo cracchiare accompagnano la sua trasformazione. Il sole, che fino a poco prima era dalla parte di Marco, ora si nascondeva in un cielo nero, mentre l'oscurità lo circondava. Il mostro ha tre, quattro anzi cinque zampe. Tre, quattro anzi cinque ali. Tre, quattro anzi cinque fauci, che ben presto smettono di salivare e si gettano sulla preda inerme.
L'oscurità lo soffoca riempiendogli i polmoni di polvere tagliente; uno degli artigli gli strappa la carne dalle ossa mentre una delle bocche della creatura lo dilania, assaporando il sangue. Dovrebbe essere morto. Eppure, in cuor suo, sa già che il dolore è solo all'inizio.
Fallimento
È finita ormai. Ci sta continuando a seguire fin dall'assedio della Città Santa. Ci ha finalmente raggiunto. Tutto quel massacro… anche se fatto in nome della Sua Luce, tutto quel sangue lo ha forse irato? Ha permesso al demonio di far arrivare in Terra Santa uno dei suoi vicari più potenti!
Sto perdendo sangue, non ho più cibo né acqua. Abbiamo usato ogni scongiuro, ogni preghiera, ogni rimedio, ma il Demonio non ha abbandonato la sua caccia.
Banchetta con le nostre paure, imita le voci dei nostri morti, si nasconde e colpisce nell'ombra quando siamo più deboli. Tutti i miei compagni sono stati uccisi ieri notte nel sonno ed io…io sono rimasto paralizzato dalla paura. La mia fede non è abbastanza, il mostro me l'ha tolta mostrandomi visioni di ciò che ci attende dopo la dipartita da questo mondo.
Dio abbia pietà della mia anima. Possa la Confraternita prendersi cura della mia famiglia, nonostante i miei numerosi atti di codardia.
Addì 12 dell'Anno Domini 1097
Cavaliere Pietro da Trianza
"Rinforzi?" chiede Elia, guardando i due furgoni bianchi parcheggiati poco fuori il parco. Michele gli fa un cenno con la testa mentre estrae il proprio crocifisso dal collo e si dirige verso gli individui dalle tuniche bianche che hanno davanti.
"Unità d'Avanguardia, voi chi siete, Confratelli?" chiede l'uomo, scrutando i due energumeni che paiono aver bloccato l'ingresso al parco. Li aveva riconosciuti dalla distanza, anche se non era certo che fossero loro. I Custodi. A quanto pare il Papa stesso era stato informato e con una rapidità notevole.
"Acolythus Francesco, Acolythus Piero. Il resto della squadra è già sceso dalla collina e in fondo alla vallata. I Cardinali vogliono la testa del demone il prima possibile. Temono si tratti di un Nobile." comunica uno dei due, rimanendo con lo sguardo fisso su Michele.
"Un Nobile? Siamo sicuri? Saranno decenni che uno di essi non-" sbotta Elia, visibilmente agitato "…che prove abbiamo?"
"Le prove non ci servono. Il Castellano7 Ruggieri ci ha ordinato di intervenire e abbiamo l'approvazione del Pontefice. Egli stesso ci ha raccomandato la massima rapidità, per cui abbiamo usato ogni Reliquia a nostra disposizione per arrivare qui il prima possibile; è stato un'errore mandare solo l'Avanguardia. Il Demone ed ogni suo vassallo vanno sterminati il prima possibile." prosegue Francesco, estraendo una larga elsa dal proprio vestiario. Con un rapido movimento, l'innocuo oggetto si trasforma in una poderosa alabarda, decorata in oro e incisa di varie preghiere in latino.
"Oh cavolo no!" si sorprende Elia, girandosi per verificare che nessun civile abbia assistito alla trasformazione dell'arma; nonostante ci siano diverse famiglie sull'altro lato della strada, nessuna di esse ha notato né i furgoni né i due energumeni da combattimento.
"Rilassati. Gli Acolythus sanno il fatto loro perfino in pieni centri abitati. È un'altra Reliquia, corretto?" chiede Michele, tirando una pacca sulla spalla di Elia per riportarlo tra i vivi.
"Gli Occhi di Santa Lucia, corretto. Ci proteggono dalle interferenze di fedeli e non. E ci hanno anche aiutato a identificare l'origine della nostra preda di oggi." risponde l'altro Cavaliere, girandosi per guidare i due membri dell'Avanguardia verso l'interno del parco. Appena il gruppo giunge oltre la fontana centrale, un tanfo li avvolge e qualcosa cambia. Elia non è sicuro, ma è come se la sua vista gli mostrasse due cose distinte: per qualche attimo, il parco, perfettamente normale, è invece rimpiazzato da alberi grigi e morti, terra incisa da artigliate rosse come il sangue e soprattutto…strani umanoidi che lo fissano dalla sua visione periferica. Alcuni sussurri iniziano a fargli fischiare le orecchie, per cui è costretto a toccare la croce al proprio collo per rimanere concentrato. Nonostante stia attingendo alla propria fede e abbia indosso diversi oggetti benedetti, il parco si rifiuta di tornare normale, rimanendo una landa di morte, sangue e oscurità.
"Come diavolo ha fatto a passare inosservato per così tanto? Questa magia è pura manipolazione del Creato…" commenta il ragazzo, evitando per un soffio uno dei cadaveri. Quando prova a girarlo per vederlo in volto, nota con orrore che ha il suo stesso viso.
"Ci conosce. Ecco come mai ha attaccato; sapeva che eravamo più vulnerabili quando divisi. Non è stupido come pensavamo." dice Michele, osservando come gli altri vari cadaveri, che si ripetono a decine, diventino polvere quando calpestati con forza.
"Sono solo illusioni, ma è evidente che l'Abominio si diverta a giocare con le sue prede. Il resto della vostra squadra è…?" fa per chiedere Piero, per poi ammutolirsi. Nota tre cadaveri diversi dagli altri, appesi all'albero più grande del parco. Sono tutti squartati, eppure si muovono ancora.
"Oh, Signore, abbi pietà della loro anima." pronuncia Michele quando si avvicina ad uno dei tre. È Luca, uno dei suoi ormai ex-compagni. Ha dei profondissimi squarci sull'addome, il cranio orribilmente deformato, gambe e braccia dilaniate. Eppure, il suo volto rimane intatto, gli occhi trasmettono ancora vita e anzi, appena vedono l'uomo, l'intero cadavere tenta di lanciarsi contro di lui.
"A-Aiutami Michele…mi ha preso…fa male…fa tanto male…"
"Non possiamo aiutarti. Possa la tua anima trovare pace nell'Aldilà. Ti libereremo dal Demonio."
"Ahahah…"
"Ridi? Infanghi il nostro compito? Credi forse che non riusciremo a-"
"Non sto ridendo del vostro compito, miei cari amici. Rido del fatto che pensate di poterlo sconfiggere. Egli è potente. Egli è antico. Egli ormai mi ha consumato."
Il cadavere smette di muoversi e quella luce nei suoi occhi diviene grigia e spenta. Michele è costretto ad allontanarsi, con sguardo cupo. Elia nota che anche lui, sotto sotto, piange la perdita dei suoi ex-compagni; prova quindi ad avvicinarsi, a posare una mano sulla sua spalla, prima di venir fulminato con lo sguardo.
"Stammi lontano. Se non fosse per te, forse sarebbero ancora vivi."
L'affermazione fa male più del vedere tutta quella morte attorno a loro. Il senso di fallimento lo avvolge, forse aveva davvero sbagliato tutto. Ma allora, perché Padre Cristante aveva creduto in lui, quasi otto anni prima? Lo aveva fatto unire alla Confraternita, insegnandogli le basi della lotta al demonio. Lo aveva sottoposto ad allenamenti duri, giorno e notte, per prepararlo a questo tipo di scontri. Eppure, di fronte ad un vero demone, ora Elia era impotente, goffo e di troppo. Mentre Piero purifica gli altri cadaveri, il ragazzo fa un passo indietro, buttando lo sguardo sulla metà ancora "normale" del parco. Un singolo corvo svolazza attorno agli alberi verdi, posandosi su uno di essi.
È lui. Elia ne è certo appena concentra lo sguardo e nota che, invece di essere due, gli occhi del corvo sono tre su ambo i lati.
Una brezza gelida solleva dalla terra scura sotto i piedi del ragazzo una nube di terra, sangue e cenere. Il gracchiare della creatura inizia a riecheggiare nella mente del giovane, ripetendogli i suoi pensieri ma distorcendoli e aumentandone a dismisura il volume.
Aveva fallito e ora Marco, il suo migliore amico, era in mano al Demonio.
Se solo Elia non fosse stato lì, Marco non avrebbe mai diviso la squadra; lui era il responsabile di tutta quella morte, lui era il responsabile di tutta quella sofferenza.
Ad Elia fa male lo stomaco e il mal di testa aumenta a dismisura: quando finalmente riesce a mettere la mano sulla pistola, il suo bersaglio è già svanito.
Cosa voleva dire questo? Si stava prendendo gioco di lui?
Una mano più pesante di quella di Michele si poggia sulla sua spalla: è Piero.
"Ti ha marchiato, lo sento. Questo Demonio a quanto pare gode della caccia e ora vuole te. Ora hai davvero l'occasione di dimostrare quanto vali ragazzo. Qualsiasi cosa sia quel Vicario di Satana, ci sta sottovalutando e ricorda: tu puoi aiutarci più di quanto credi."
Persino Michele è scettico di questa frase, ma quando i suoi occhi incontrano quelli di Elia, trasmettono approvazione. Il ragazzo si sente strano. Senza nessun apparente motivo, ora tutti dipendevano da lui. Ma era davvero in grado di soddisfare le loro aspettative?
Si rende conto immediatamente di sì.
"L-Lo vedo! Vedo la sua tana! Brilla poco oltre il bosco ed è immersa nell'oscurità…"
Non stava mentendo nemmeno a sé stesso per una volta; per qualche motivo, l'ingresso e i suoi cunicoli ora gli apparivano chiaramente come se stesse usando una Reliquia. Per la prima volta dall'inizio della missione, Elia ha il cuore caldo ed è felice.
"Francesco, raduna gli uomini."
La caverna pulsava di energia demoniaca e, in circostanze normali, avrebbe messo in fuga persino quei quattrocchi della Fondazione o, peggio ancora, della GOC. Sei Acolythus erano in formazione attorno all'ingresso della tana del Demone, con armi in mano, ognuna delle quali pareva esser stata costruita artigianalmente solo per loro: Piero aveva con sé una specie di moschetto placcato in oro e argento, mentre uno dei suoi compagni invece disponeva di un grosso spadone a due mani; Elia era molto scettico che armi del genere sarebbero tornate effettivamente utili, ma non era completamente ignorante. Sapeva che alcuni Cavalieri della CCSG facevano uso di armi benedette e unite a Reliquie, pertanto forse c'era molto di più in quell'equipaggiamento che l'occhio lasciava intendere. Sentiva ogni membro della squadra recitare a voce bassa numerose preghiere in latino, di cui però non conosceva il significato; si augurò solo di non aver condotto questi valorosi soldati alla morte.
È Piero il primo a parlare, avanzando di un singolo passo verso la caverna.
"Custodi! Il Demonio si è rifugiato in questo loco! Gli Occhi di Santa Lucia ci hanno permesso di individuare la sua tana! La Lingua di Sant'Antonio di Padova impedirà al mostro di usare la sua magia sconsacrata! E con le nostre armi, lo rispediremo agli Inferi!"
Un'urlo si leva dalle gole di tutti i presenti. Persino Elia si galvanizza. Forse avrebbero davvero vinto dopotutto? Forse avrebbero addirittura salvato Marco! I Custodi in fondo, rappresentavano l'ultima linea di difesa contro il maligno. Solo loro potevano ucciderlo, giusto?
"Deus Vult!"
I sei soldati, con Michele ed Elia al seguito, si gettano sull'entrata, scendendo con rapidità lungo i sentieri disponibili. Quella cava doveva essere stata usata dalla gente del posto, poiché vi erano vari percorsi già tracciati, oltre a numerose macchie di sangue, ossa e resti decomposti. Il tanfo che Elia sente però, non lo dissuade, specie quando nota che, a differenza sua, tutti gli altri non hanno nemmeno accennato a rallentare il passo.
Eccoli giungere, dopo pochi minuti, nella caverna principale.
Un gigantesco masso
Solitudine
Morte